Nell’epoca delle Pari Opportunità e delle quota rosa, il problema della conciliazione tra famiglia e lavoro non va affrontato come un problema di genere, ma come una questione di cultura, di educazione e di libertà.
Il problema della conciliazione riguarda soprattutto la donna, visto che è la figura materna quella che più risente di questo problema. Si tratta di un problema relativamente recente, sorto con l’accesso femminile al mondo del lavoro, e consolidato poi dalla consistente trasformazione della realtà socio-economica del XX secolo, prima ancora che dai risultati delle lotte per l’emancipazione. Le donne sono sempre più impegnate fuori casa per contribuire al pari degli uomini al bilancio familiare, e di conseguenza non possono più permettersi di allevare i bambini a tempo pieno.
Le madri italiane che lavorano- dipendenti o autonome, per scelta o per forza, dopo il parto possono astenersi dal lavoro per qualche mese (almeno tre o quattro) ma poi, trascorso il periodo previsto dalla legge, si trovano inevitabilmente di fronte al dilemma: Nido o Babysitter? Ci sarebbero i nonni, ma non sempre, e non per tutto il tempo, o almeno non quanto servirebbe per permettere a una donna con un figlio piccolo di trascorrere fuori casa l’intera giornata, come spesso richiedono i ritmi lavorativi. La babysitter si presenta come soluzione ideale, ma è anche quella più costosa: una professionista specializzata che si occupa unicamente del bambino, per una porzione ampia (ma limitata) della giornata.|
Il problema, però, è che una mamma che desidera ricorrere a questa soluzione dovrà praticamente dire addio al suo stipendio. Bisognerebbe quindi risolvere il problema dell’affidamento di un bambino a un’assistenza competente, senza rovinarsi economicamente: l’asilo nido. Se si tratta di una struttura comunale o aziendale, il costo per una donna sarà più abbordabile. Purtroppo in Italia i posti disponibili, in queste strutture, sono limitati. Gli asili pubblici somo pochi, soffrono di carenze strutturali e non garantiscono l’accoglienza di tutte le richieste. Esistono anche le strutture private, ma queste prevedono rette decisamente più care, non alla portata di tutti, e anche qui non è scontato trovare un posto. Se poi i bimbi in famiglia sono più d’uno, la spesa necessaria raggiunge o supera quella da preventivare per assumere una tata, che a questo punto resta l’unica opzione plausibile. Le famiglie italiane con figli in tenera età si agitano in un dilemma. Secondo i dati del dossier 2007-2008 di Cittadinanzattiva, “tra caro retta e liste d’attesa'', sul capo di una coppia con un bambino ci sono da un lato l’esosità delle rette previste anche nei nidi comunali (che arrivano fino a 500 euro mensili), dall’altro l’eterna penunia dei posti disponibili. Negli asili nidi comunali italiani vi sono liste d’attesa che raggiungono il 72% dei richiedenti. Se si considera la legge del 1971 che istituiva gli asili nido comunali, questi avrebbero dovuto raggiungere entro cinque anni una copertura del 10%. Quattordici anni dopo, la copertura era ancora ferma al 3%, ben lontana dagli obiettivi prefissati. Dopo trentasette anni, è cresciuta solo di un ulteriore 3%. Siamo anche ben lontani dall’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di Lisbona, pari a una copertura territoriale del 33% entro il 2010. Gli altri paesi europei hanno una performance ben diversa: 64% della Danimarca, dal 38% dell’Irlanda e dal 29% della Francia (dati Istat). E’ interessante rilevare come la politica in Italia dichiari di sposare in pieno l’ottica che vede negli asili nido la risposta ideale al problema della conciliazione tra famiglia e lavoro. Si è parlato non solo della moltiplicazione degli asili (per raggiungere la copertura degli altri paesi europei “virtuosi), ma anche di allargamento del servizio, con l’ampliamento degli orari fino all’intera giornata e l’estensione dell’apertura. Credo che resti fermo il riconoscimento dell’assunto che, trattandosi di un servizio alla collettività, debba essere lo Stato a farsene carico, più che l’iniziativa privata. Ci vogliono quindi più asili nido pubblici o in alternativa aziendali, persino condominiali, sul modello francese, purché sempre sostenuti da denaro proveniente dalla spesa pubblica.
Gli asili nido non sono soltanto un’esigenza personale, familiare o educativa, bensì una vera e propria esigenza sociale e politica. La carenza di questi resta un problema reale: percepito e biasimato dalle madri, che se interpellate in merito si pronunciano senz’altro a favore di questo servizio. Sarebbe più facile per una donna conciliare famiglia e lavoro, che per il momento resta un traguardo ancora da raggiungere.
Sarebbe inoltre un modo importante per aumentare l’occupazione femminile, liberando energie preziose per sostenere la produttività nel nostro paese. Le ragioni per cui le madri lavoratrici in Italia scelgono di dare le dimissioni sono anche attribuibili all’impossibilità di occuparsi personalmente dei propri bambini, causa strutturazione rigida del lavoro, e l’impossibilità di variare o ridurre l’orario lavorativo: tutti aspetti che causano difficoltà di conciliazione.
Anche in tempi di dimagrimento della spesa pubblica, l’investimento nella rete degli asili nido dovrebbe rimanere una priorità del budget dello stato, per il riflesso che ha sull’impiego femminile, il cui contributo è essenziale al rilancio dell’economia del paese.
fonte: http://www.dols.net/magazines_news.php?id_micro=25&id_sub=10024&id_news=2477
mercoledì 3 agosto 2011
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