Il decreto del 1938 dice:
"Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto"Da notare, in riferimento alla frase "apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni", che ovviamente al tempo non esistevano pc e dispositivi mobile e non esistevano segnali criptati.
La sentenza n. 284 della Corte costituzionale del 26 giugno 2002 sancisce che non si tratta più di un canone di abbonamento al servizio, ma di una "imposta":
"Benché all’origine apparisse configurato come corrispettivo dovuto dagli utenti del servizio [...] ha da tempo assunto, nella legislazione, natura di prestazione tributaria, fondata sulla legge [...] E se in un primo tempo sembrava prevalere la configurazione del canone come tassa, collegata alla fruizione del servizio, in seguito lo si è piuttosto riconosciuto come imposta"Il 20 novembre 2007, con Sentenza n. 24010, la Corte di Cassazione ha precisato ancora:
"Non trova la sua ragione nell'esistenza di uno specifico rapporto contrattuale che leghi il contribuente, da un lato, e l'Ente Rai, che gestisce il servizio pubblico radiotelevisivo, dall'altro, ma costituisce una prestazione tributaria, fondata sulla legge, non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio de quo"Quindi l'imponibilità dipende solo dalla detenzione di un apparecchio, indipendentemente dal fatto che i programmi rai vengano ricevuti o guardati. Parlo di detenzione e non di possesso, perché l'imposta va pagata anche se non si è proprietari dell'apparecchio che si ha in casa.
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